Anno 2000 - Numero 2 (aprile)
Mosè convocò tutti gli anziani d'Israele e disse loro:
"... Allora i vostri figli vi chiederanno: Che significa
questo atto di culto? Voi direte loro: È il sacrificio della
pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli
Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre
case" (Es. 12,26-27).
Questa domanda è importante perché ci permette di scoprire
l'evento di salvezza che è all'origine della Pasqua e diventa
per noi oggi uno strumento prezioso per arrivare a comprenderne
sempre meglio il mistero:
La Pasqua cristiana deriva dalla Pasqua giudaica, ne è la
successione, la continuità. Il concetto è spiegato da Melitone
di Sardi:
"La Legge si è fatta Vangelo; l'antico si è fatto nuovo la figura è diventata realtà; l'agnello è diventato il Figlio". |
L'anno giubilare ci invita a vivere in maniera sempre più
profonda e cosciente le feste liturgiche. Sorge allora una
domanda: Come incontrare il Signore nella liturgia pasquale?
Padre Raniero Cantalamessa ha tentato di darne risposta durante
le sue riflessioni tenute alla Casa Pontificia come Predicatore
Apostolico.
Ci lasceremo quindi aiutare da alcune sue considerazioni tratte
da uno dei suoi libri più famosi: Il mistero pasquale.
Che il Signore ci conceda quest'anno di fare nostre con verità
le parole della liturgia pasquale ebraica:
"Egli ci ha fatti passare: dalla schiavitù alla libertà,
dalla tristezza alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre
alla luce, dalla schiavitù alla redenzione.
Perciò diciamo davanti a lui: ALLELUJA ! (Pesachim X,5)
I Padri ci hanno lasciato dei modelli di
celebrazioni liturgiche vibranti di fede e di fervore che possono
aiutarci a mettere nuova vita nelle nostre celebrazioni e fare di
esse un vero incontro comunitario con il Signore risorto.
Come fare di una liturgia - e, in particolare, della liturgia
pasquale - un incontro con il Signore morto e risorto per noi,
vivente oggi nella Chiesa con il suo Spirito? Attraverso gli
scritti dei Padri emerge una singolare esperienza spirituale:
quella dell'epifania cultuale di Cristo. Si tratta di
una manifestazione così forte e viva del Signore durante il
culto, specie durante la veglia pasquale, da far dire ai fedeli,
al termine dell'assemblea, ciò che dissero i discepoli dopo la
risurrezione: Abbiamo visto il Signore! (Gv 20,25).
In una celebre omelia pasquale del II secolo, a un certo punto,
il vescovo smette di parlare lui e presta la sua voce al Risorto
che si rivolge, in prima persona, all'assemblea, come fece nel
cenacolo la sera di Pasqua:
"Sono io - dice - il Cristo. Sono io che ho distrutto la morte... che ho trionfato del nemico. Orsù, dunque, venite, voi tutti popoli della terra, immersi nei peccati: ricevete la remissione dei peccati. Sono io, infatti, la vostra remissione, sono io la Pasqua della salvezza" (Melitone di S., Sulla Pasqua, 102-103). |
Si capisce come S. Ambrogio abbia potuto dire: "Tu ti sei
mostrato a me, o Cristo, faccia a faccia. Io ti ho incontrato nei
tuoi sacramenti". L'Exultet pasquale, con al centro
quel grido di giubilo che comincia con le parole: "O felix
culpa!", ci dà un'idea di come dovevano essere queste
antiche celebrazioni pasquali, quanto entusiasmo e quanta
speranza erano capaci di suscitare tra i fedeli.
Ascoltiamo S. Agostino durante una veglia pasquale: "Quanta
gioia, fratelli! Gioia nel trovarvi riuniti insieme; gioia nel
cantare i salmi e gli inni; gioia nel ricordo della passione e
della risurrezione di Cristo; gioia nella speranza della vita
futura. Se tanta letizia dà la semplice speranza, che sarà il
possessso? In questi giorni, al sentire risuonare l'Alleluia, il
nostro spirito è come trasfigurato. Non ci sembra di gustare un
non so che di quella città superna?" (Ser. Morin-Guelf,
8, 2: PLS, II, 557).
Qual era il segreto di questa straordinaria forza dei riti? La
fede e la santità dei pastori. Tuttavia, miserie ce n'erano
anche allora, e non tutti i vescovi erano santi o poeti. Come mai
allora? È che facevano una parte molto grande all'azione
dello Spirito Santo, luce dei riti, anima della liturgia. Di
Melitone di Sardi, già ricordato più volte, si legge che in
tutto "agiva nello Spirito Santo" (in Eusebio, Storia
eccl. V, 24, 5). San Basilio dice che lo Spirito Santo è il
luogo della dossologia, cioè il luogo ideale, o il tempio, dal
quale soltanto è possibile contemplare Dio e adorarlo "in
Spirito e verità"; egli è "il maestro di coro"
di coloro che cantano le lodi di Dio; è colui che
"corrobora" la Chiesa durante il rito, perché possa
stare degnamente davanti al suo Signore.
Gesù risorto "vive per lo Spirito" (1 Pt 3,18); solo
lo Spirito Santo, perciò, può renderlo presente e far sì che
si manifesti dietro i riti e le parole. Solo lo Spirito Santo
può far cadere il velo dagli occhi e dal cuore e far riconoscere
Gesù mentre si parla di lui e si spezza il suo pane. Uscendo
dall'assemblea liturgica, è lui che spinge a tornare tra i
fratelli, come fecero i discepoli di Emmaus, e a dire ad essi:
Gesù è vivo! L'abbiamo riconosciuto nello spezzare il pane!
Che cosa impedisce che lo Spirito Santo sia anche oggi la guida
invisibile dei riti, al quale gli occhi di tutti siano fissi,
più ancora che alla guida esteriore del cerimoniere? Che cosa
impedisce di sperare che si possa rinnovare nella Chiesa di oggi
quel miracolo della liturgia di farci incontrare il Cristo
risorto vivente con il suo Spirito nella Chiesa?
Ma le condizioni essenziali per quel miracolo sono tuttora
presenti nella Chiesa. Anzi, esse sono migliori oggi che non nel
passato, dopo che la riforma liturgica ha riportato i riti
pasquali allo splendore e alla semplicità della loro forma
primitiva e alla lingua del popolo.
Occorre solo mettere in questi "otri nuovi" che sono i
riti rinnovati della Pasqua, il vino sempre nuovo della fede e
dello Spirito Santo.
Che il Signore ci conceda, quest'anno, di poter esclamare anche
noi, uscendo dai riti della Pasqua, quello che dissero i primi
discepoli a Tommaso assente: "Abbiamo visto il
Signore!".
E vidi nella mano destra di Colui che era assiso
sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e
su quello esterno, sigillato con sette sigilli.
Vidi un angelo che proclamava a gran voce: "Chi è degno di
aprire il libro e scioglierne i sigilli?" Ma nessuno né in
cielo né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il
libro e di leggerlo:
Io piangevo molto perché non si trovava nessuno degno di aprire
il libro e di leggerlo:
Uno dei vegliardi mi disse:
"NON PIANGERE PIÙ; HA VINTO IL LEONE DELLA TRIBÙ
DI GIUDA, IL GERMOGLIO DI DAVIDE, E APRIRÀ IL LIBRO E I SUOI
SETTE SIGILLI"
(Ap. 5,1-5)